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Pazienti dimenticati in ospedale

La signora Luisa (nome di fantasia) il martedì viene ricoverata agli Ospedali Riuniti di Bergamo, nel reparto ginecologia per un carcinoma. Le viene detto, dal primario in persona, che il martedì le verrà somministrata una dieta liquida, per meglio affrontare l'intervento che è stato previsto per due, tre giorni dopo. La signora, tutta fiduciosa, si ricovera. Della dieta liquida manco l'ombra e dal martedì al giovedì le vengono fatti, complessivamente, un elettrocardiogramma e una tac. I giorni passano: venerdì, sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì, senza che nessuno del reparto si ricordi più di avere in carico la signora Luisa. Infatti, nell'arco di questo periodo, non le viene somministrato alcun farmaco, non viene sottoposta ad ulteriori esami diagnostici, non riesce a parlare con il primario e, fiduciosa, attende. La situazione resta immutata finché non viene avvisata la Redazione di www.stefanosalvi.it, la prima web tv d'inchiesta. Il giovedì telefono personalmente al direttore sanitario degli Ospedali Riuniti di Bergamo, la dottoressa Laura Chiappa, e non riuscendo direttamente a parlare con lei, trovo invece il responsabile dell'Ufficio stampa, a cui spiego tutto quello che si sta verificando: cioè che ci sono diverse pazienti (nel frattempo vengo a conoscenza del fatto che la circostanza non riguarda solo la signora Luisa, ma anche altre signore ricoverate nello stesso reparto) che sono letteralmente “parcheggiate” da diversi giorni - alcune da sette, altre da otto, altre ancora addirittura da dieci - senza che nessuno si degni di dire loro il perché e il per come siano trattenute, senza terapia di farmaci o prescrizione di esami diagnostici. Mi viene finalmente spiegato, dopo una verifica di alcune ore da parte del responsabile dei rapporti con la Stampa, che la signora Luisa e le altre pazienti in questione sono in attesa di essere sottoposte all'esame più specifico della Pet. In quanto, la Tac precedentemente fatta, nel loro caso non si era rivelata sufficiente. La cosa inaccettabile e incredibile è che, essendo la Pet in manutenzione in quanto non funzionante, in quel reparto hanno pensato bene non di mandare a casa le pazienti, in attesa di ulteriori esami diagnostici più approfonditi, non di avvisare ogni paziente su quello che si sarebbe verificato successivamente, non di aggiornare le pazienti su quelli che sarebbero stati i tempi di attesa, non di comunicare alle stesse l'iter che si sarebbe dovuto svolgere, una volta entrate in possesso dei nuovi risultati dell'esame diagnostico, bensì di tenersele quatte quatte, buone buone, ignare ignare “a pensione”, in una dolce vacanza agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Potete ben immaginare quello che potesse essere lo stato d'animo della signora Luisa e delle compagne di sventura che, per ben otto giorni, sono state “depositate” nel reparto, senza che nessuno si curasse delle stesse, se non per dar loro da mangiare e da bere. E figuratevi quale sia stata la sorpresa della signora Luisa all'apprendere che la sua vacanza agli Ospedali Riuniti era determinata dalla necessità di fare ulteriori e più approfonditi esami diagnostici. Cosa che, senza l'intervento di questa Redazione, chissà quando le sarebbe stata comunicata. Dopo aver avuto le necessarie indicazioni dall'Ufficio stampa dell'ospedale, il giovedì sono finalmente riuscito a parlare personalmente con la dottoressa Chiappa, alla quale ho chiesto come si ponesse nei confronti di uno scempio di codesto genere, considerando in ultimo, ma non ultimo, il fatto che ogni persona ricoverata costa a noi cittadini cinquecento euro al giorno e che i soldi buttati ammontano all'incirca a cinquemila euro per ogni paziente. Ho altresì detto al direttore sanitario che non ci interessa avere medici geni o genialoidi o con le mani d'oro che non sanno far fronte all'abc che in ogni medico non deve mancare: l'estrema umiltà e umanità, requisiti che il primario del reparto in questione pare non conoscere per niente. Infatti, non aveva comunicato ad alcuna paziente il motivo di un così lungo e immotivato ricovero. Non solo, lo stesso responsabile del reparto, venuto a sapere che questa Redazione si era occupata della sua inefficienza, alla fine si degna di convocare a sé la signora Luisa, ma non per scusarsi, bensì per chiederle come si fosse permessa di avvisare gli organi di stampa per denunciare l'accaduto, dicendole che, se l'aveva trattenuta per un periodo così lungo nel proprio reparto, non lo aveva certamente fatto per il proprio diletto, ma per necessità. Nella disamina di questo genio manca però la parte più importante: nessuno, lui tanto meno, alla signora Luisa aveva detto niente. I giorni erano trascorsi, senza che lei senza sapesse niente. Le notti erano trascorse senza che lei sapesse niente. E tutto ciò veniva moltiplicato per molte delle altre pazienti presenti nel reparto. E' bene una volta per tutte che certi medici, certi professori, certi primari si mettano definitivamente in testa che sono dei nostri dipendenti. Che hanno rapporti con delle persone che si chiamano pazienti. Che non hanno a che fare con dei numeri. Che non hanno a che fare con del bestiame in attesa di essere marchiato. Che, come già detto in precedenza, il loro dovere è quello di garantire, oltre il meglio della propria abilità chirurgica, il contatto umano, il rapporto verbale con i pazienti, di comunicare ora dopo ora, giorno dopo giorno, quello che sarà il percorso medico-diagnostico al paziente, di mettere cioè al corrente le persone - che stanno affidando ai medici non soltanto la loro vita, ma anche la loro emotività - di tutto l'iter necessario, considerando che, in quei momenti, il paziente è assolutamente privo di difese, fisiche ed emozionali, e che quindi è in una situazione di assoluto subordine nei confronti di tutto il personale ospedaliero. Tutto questo, come detto, è stato da me ampiamente illustrato alla dottoressa Chiappa. Ed ecco qui l'unica nota positiva di questa squallida vicenda: forse per la prima volta nella mia carriera, mi sono trovato di fronte a un dirigente pubblico che, non solo non si è messo a difendere con le unghie e con i denti l'operato dei propri medici, ma è andato personalmente in reparto a chiedere scusa alla signora Luisa, assicurandole che il giorno dopo, cioè il venerdi (otto giorni dopo la Tac) sarebbe stata immediatamente sottoposta all'esame della Pet che, per miracolo, aveva ripreso a funzionare. E questa visita in reparto le ha dato altresì l'opportunità di potersi rendere conto che altre pazienti erano nella situazione della signora Luisa, cioè ricoverate da più giorni in attesa della Pet, e di far sì che proprio queste potessero tornare a casa, aspettando che il personale del reparto le chiamasse per sottoporsi all'esame diagnostico. Ciò si è verificato anche per l'indisponibilità di un macchinario, la Pet, che non è ammissibile non sia funzionante in una struttura ospedaliera così all'avanguardia come quella di Bergamo. E' chiaro che i macchinari si possano rompere, ma non è concepibile che non ce ne sia un altro su tutto il territorio ove poter immediatamente dirottare i propri pazienti. La domanda che sorge spontanea è: ma quante situazioni di questo genere si nascondono all'interno di una struttura come quella dell'Ospedale di Bergamo? Quanti sono i primari che tengono “prigionieri” i propri pazienti, senza comunicare loro nulla? Quanti sono quei medici che, incuranti dei sentimenti altrui, passano sopra alla sensibilità dei malati come uno schiacciasassi? Con questa piccola inchiesta ho potuto accendere la luce solo su alcuni aspetti che non funzionano (e chissà da quanto tempo non funzionavano) in quel reparto. In un Paese come il nostro, anche quelli che dovrebbero essere i diritti più elementari e inalienabili dell'uomo, come la salvaguardia della propria salute, non vengono tutelati nei posti deputati, se non dopo una solenne incazzatura. Questa è la triste e amara verità. PS: Cara dottoressa Chiappa, nell'augurarle buon lavoro (e mi sembra che non le manchi), le dichiaro fin da ora che la terrò d'occhio. Stefano Salvi
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